Protezione del marchio in Internet

Proprietà intellettuale online e responsabilità dei service provider

 

In una recente sentenza (2636/13, 14 giugno 2013), il Tribunale di Palermo – sezione proprietà industriale ha dichiarato che Google non è tenuta a monitorare le parole chiave di AdWords selezionate dai propri utenti. Il caso riguardava Sicily by Car, società di noleggio autovetture, la quale aveva sottoscritto il servizio di posizionamento “AdWords” di Google indicando fra le proprie parole chiave la parola “maggiore” – corrispondente al nome di un noto concorrente. La conseguenza era che quando un utente digitava in Google il termine “maggiore”, tra i risultati compariva un link sponsorizzato di Sicily by Car contenente proprio quel termine (“inserimento dinamico di parole chiave”). Maggiore, accortasi di ciò, si era rivolta al tribunale di Palermo denunciando non solo la responsabilità di Sicily by Car ma anche quella di Google in quanto fornitrice del servizio.

 

Il Tribunale di Palermo ha ritenuto che, limitatamente al periodo di utilizzo del servizio di inserimento dinamico, la condotta di Sicily By Car abbia ingenerato un rischio di confusione e associazione tra i prodotti e servizi pubblicizzati da Maggiore e quelli offerti dalla stessa Sicily by Car. La Corte ha pertanto giudicato Sicily by Car colpevole di violazione del diritto di marchio e di concorrenza sleale, condannandola al pagamento di una somma equivalente ai proventi illegittimamente ottenuti attraverso l’impiego dello strumento di inserzione dinamica. Contestualmente il Tribunale di Palermo ha assolto Google, ritenendo che il suo ruolo si sia limitato a quello di prestatore di servizio a fronte di una totale libertà per gli utenti di scegliere le parole chiave preferite. In particolare Google è stato qualificato dalla Corte come mero “hosting provider” e, in quanto tale, non tenuto a monitorare la condotta dei propri utenti (art. 15 della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico).

 

Il caso si innesta su uno dei temi più dibattuti degli ultimi anni, quello della responsabilità degli Internet Service Provider (ISP, “fornitore di servizi Internet”) rispetto ad eventuali attività di contraffazione ad opera dei propri utenti. La normativa attualmente in vigore a livello UE ha armonizzato il diritto dei marchi e le norme sulla contraffazione ma non quelle sulla responsabilità civile (e quindi sul concorso nell’uso contraffattorio del marchio altrui). Ne consegue che tale disciplina è in larga misura rimessa alle legislazioni nazionali, fatto salvo il regime speciale di responsabilità degli ISP individuato dalla sopracitata direttiva sul commercio elettronico. Tale regime riconosce agli ISP un’immunità rispetto all’attività contraffattoria dei propri utenti, a condizione che la prestazione del servizio avvenga attraverso un trattamento meramente tecnico, automatico e passivo dei dati forniti dagli utenti, senza che vi sia conoscenza o controllo dei dati in questione. La finalità così perseguita dal legislatore europeo è quella di non disincentivare l’investimento e l’innovazione nell’ambiente digitale.

Quello che potrebbe apparire un semplice criterio generale di immunità presenta, in realtà, dei nodi interpretativi e applicativi difficili da sciogliere. L’immunità viene infatti meno qualora l’ISP, in presenza di “fatti” e “circostanze che rendono manifesta l’illegalità dell’attività” del cliente “o dell’informazione” immagazzinata, non “agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso” (art. 14 della direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico). L’apprezzamento dell’illegalità delle informazioni immagazzinate e dell’attività dei clienti non è compito semplice, in quanto chiama in causa la necessità di individuare preliminarmente la legge applicabile, se il marchio altrui sia stato usato per fini meramente privati, se vi sia stato esaurimento del diritto, e così via. Non è peraltro del tutto evidente come ciò debba conciliarsi con  l’assenza di obblighi di vigilanza a carico degli ISP.

 

In Italia la questione è attualmente affrontata nel senso di coinvolgere la responsabilità dell’hosting provider nel caso in cui esso – venuto a conoscenza effettiva del “carattere illecito o pregiudizievole per un terzo del contenuto di un servizio al quale assicura l’accesso” (anche senza previa segnalazione di un terzo) – non si sia attivato immediatamente informando l’autorità competente ed impedendo gli effetti dannosi dell’illecito (d.lgs. 70/03, 9 aprile 2003). Tale regime pone il provider di fronte ad un dilemma di difficile soluzione, esponendolo, da un lato, al rischio di perdere l’immunità nel caso in cui non si attivi in risposta alla segnalazione del titolare del marchio, dall’altro, al rischio di subire azioni da parte del proprio cliente nel caso in cui si attivi in risposta alla segnalazione del titolare del marchio.

 

 

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